giovedì 30 giugno 2011

Rinfrescarsi la memoria



Cosa leggere sotto l’ombrellone? O in campagna, sotto un albero ombroso? O su una poltrona in una baita di montagna? O anche nel soggiorno di casa propria con una bibita accanto e, magari, un ventilatore acceso?

L’estate, è un luogo comune, facilita la lettura. Più tempo a disposizione, più opportunità. Minori tensioni quotidiane. Sembra proprio il momento di rileggere quei libri che abbiamo amato e che non abbiamo più trovato il tempo di sfogliare. Un modo per rinfrescarsi la memoria, oppure per affrontare per la prima volta quei classici che tutti crediamo di conoscere ma che, in realtà, non abbiamo ancora letto.

Speriamo quindi di fare cosa gradita presentando il nostro catalogo di “saldi di fine stagione”, come si potrebbe dire. Tre titoli della nostra Piccola Biblioteca dell’immaginario al prezzo forfettario di 30 euro (10 euro a titolo) più spese di spedizione,  a scelta e in combinazioni variabili e personalizzate. Il risparmio è sensibile, qualunque scelta si operi, e il divertimento assicurato. Offerta valida fino a settembre.

domenica 26 giugno 2011

Illustrazione e grafica nell’editoria per l’infanzia


Leo Lionni: Piccolo blu e piccolo giallo

Nella preparazione di un libro per l’infanzia, la grafica ci appare subito come una sorella minore, un terzo incomodo rispetto ai due attori principali che sono, abbastanza ovviamente, il testo e le immagini. Della grafica di un libro a volte ci si accorge solo se è brutta, se cioè, per evidenti motivi di disequilibrio, costituisce un ostacolo alla comprensione del ‘testo’ e al godimento delle ‘immagini’.
In questo la frase di Stanley Morison (che con Victor Lardent guidò l'equipe di type designers che portò alla progettazione del carattere di stampa forse più universalmente noto, il Times), è ancora in larga parte condivisibile: “Qualunque sia l’intenzione, ogni disposizione tipografica che si frapponga tra l’autore e il lettore è sbagliata...”

Ne deriverebbe quindi che la grafica offre alle sorelle ‘maggiori’, testo e illustrazione, il supporto essenziale alla loro piena comprensione e rinuncia ad un suo codice autonomo, ad una propria personalità. E se spesso è così, e un ‘buon libro’ è in genere supportato da un progetto grafico ‘sobrio’, ‘non invadente’ e in grado di facilitare la lettura, questo non è un diktat assoluto e a volte la grafica assume un ruolo autonomo, personale, creativo, e diventa coprotagonista a tutti gli effetti. Salta, per dire, in primo piano e non si può gustare appieno il libro se prescindiamo dalla forma progettuale in cui ci viene presentato.

Diamo per assodato tutto questo e cerchiamo di analizzare meglio quale sia il ruolo della grafica che, anche questo è ovvio, dovrà sempre fornire un supporto tecnico adeguato alla produzione del libro, pena il disastro. Faranno quindi parte della zona progettuale elementi fondanti quali la scelta della carta e del formato, la confezione, l’uso del carattere, l’accuratezza della selezione cromatica delle immagini. E poi, scendendo sempre più in dettaglio, tutti gli elementi dell’impaginazione, dal ritmo della messa in pagina, alla scelta dei margini, e a quella del corpo, interlinea e giustezza del carattere.

Abbiamo parlato di sorelle maggiori e minori, ma sempre di sorelle si tratta, e se quindi viene abbastanza naturale assegnare questa primazia al testo e all’immagine non ci sarà chi non capisce che, anche se il testo viene stampato in un ripugnante Mistral su carta igienica, avrà pur sempre le stimmate della sua stesura originale ma, nel caso appena citato, la sua lettura e godibilità ci sarà diventata così ostica da impedirne  quasi ogni accesso. Se poi le illustrazioni non sono adeguate (Troppo brutte? Incomprensibili? Dilettantesche?) il risultato sarà anch’esso deludente, a prescindere da come verranno impaginate e stampate e a quale testo si riferiscano. Per non dire quando il testo è sciatto, mal concepito e peggio redatto: non ci sono altri elementi che possano salvare il prodotto.
Per arrivare all’affermazione generalissima che testo, immagini e grafica devono correre in sintonia (da brave sorelline!) il passo è, allora, davvero molto breve.

Maurice Sendak (Harper & Row)
Qualche esempio, rimanendo sempre nel campo dell’illustrazione per l’infanzia.

I grandi libri (Where the wild Things are, In the Night Kitchen…) di Maurice Sendak, negli anni ’60 e ’70, si basano essenzialmente sui rapporti tra testo e illustrazione. Alla grafica spettava il compito di non sciupare questa armonia. Il grafico editoriale (anonimo) restava quindi in disparte e, per questi libri, si limitava a impaginare il testo ‘solo’ come servizio indispensabile. Ma nel caso delle Fiabe dei fratelli Grimm, sempre illustrate da Maurice Sendak, il progetto editoriale di Diogenes Verlag ha una fortissima personalità ‘tradizionale’, giocata tutta sulla bellezza e congruità del carattere usato, sul corpo, la giustezza, l’interlinea, sulla carta usata, sui margini della pagina, sulla gabbia di impaginazione. In questo caso il postulato di Morison è non solo rispettato ma esaltato. La grafica è talmente bella che pare non esserci proprio e l'oggetto-libro appare formalmente perfetto, equilibratissimo.

Leo Lionni (Pantheon Books)
Non sono diversi da quest’ultimo, anche se forse più ‘consapevoli’ i progetti editoriali di Leo Lionni. La sua provenienza dalla grafica attiva ('molto' attiva diremmo essendo Lionni uno dei padri nobili della grafica americana), lo portava a riflettere sulla pagina e a rispettare, in ogni suo libro, un proprio ‘codice’ di sobrietà e eleganza di proposta. Libri sempre composti da quattordici aperture di pagina, carattere graziato (Century Schoolbook, perlopiù), giustezze mai eccessivamente spinte. Ma anche parole semplici, frasi concise, concetti chiaramente espressi e facilmente comprensibili. E, vorremmo aggiungere, storie di forte sostanza ‘etica’. Un caso questo, proprio per la singolare personalità di Leo, in cui il testo, le immagini, la grafica, tutte di mano del medesimo soggetto, concorrono in maniera perfetta al risultato finale, senza né sbilanciamenti né, tantomeno, cadute di tensioni.

Bruno Munari (Emme edizioni)
Diversissimo il caso di Bruno Munari, grafico sperimentatore. Per lui la pagina è sopratutto un dialogo con il design, un modo per testare la potenzialità della carta, della tipografia, per certificare come ogni oggetto, nella sua realtà, possa essere o diventare figura, illustrazione, storia. Va da sé che il ‘metodo Munari’ ha dato il via ad una vera e propria ‘scuola’ ma difficilmente può essere dispiegato a pieno senza la fantasia editoriale, didattica e fantastica del maestro. La fortuna critica di cui ha sempre goduto Munari (rinverdita adesso dalla ri-pubblicazione quasi completa delle opere che ne va facendo Corraini) non si è però  quasi mai tradotta in un vero e proprio 'successo' editoriale. I suoi libri sono sempre rimasti prodotti d’elite e anche le sue più fortunate esperienze di diffusione e vendita sono comunque situate abbastanza vicino al ‘limbo’ della sperimentazione autoriale. Significativamente esemplare, a questo proposito, l’aneddoto di una piccola polemica con Leo Lionni a cui Munari segnalava il fatto, all’uscita di Piccolo Blu e Piccolo Giallo, che lui, i libri illeggibili, li aveva progettati molti anni prima. “Si, rispondeva Leo, ma i miei, di libri, si leggono anche!

Bruno Munari (Einaudi)
I grafici che si sono interessati di editoria per l’infanzia sono stati comunque molti, chi più chi meno occasionalmente. Possiamo ricordare qui Pino Tovaglia, Enzo e Iela Mari, Giancarlo Iliprandi, Seymour Chwast e Milton Glaser, Heinz Edelmann. Alcuni di essi (Tovaglia, Iliprandi...) si avvicinano all’esperienza del libro per l’infanzia tramite la progettualità editoriale di Bruno Munari e la sua benemerita collana einaudiana Tantibambini che, negli anni settanta, offrì una palestra unica alla ‘cultura del progetto’ italiana. Altri, Chwast e Glaser, intendono l’illustrazione e la grafica, e a volte la scrittura del libro, come la naturale conclusione di quel complesso progetto creativo che aveva dato origine ai primi Push Pin Studios.

Nel panorama attuale comunque si possono ricordare, a titolo esemplare ma significativo, Fausta Orecchio e Simone Tonucci (Orecchio Acerbo) e Guido Scarabottolo (Topi Pittori).

Fabian Negrin (Orecchio Acerbo)
Orecchio Acerbo  opera su tutto lo spettro delle componenti del libro. Testi curatissimi, immagini non piattamente tradizionali, autori accreditati. Ma non solo, perché la provenienza della casa editrice dalla costola di uno studio di graphic design, porta Orecchio Acerbo ad evidenziare in modo cospicuo tutte le parti di impostazione tecnico-editoriale del prodotto, dalla scelta dei font alle impaginazioni dinamiche, dalla definizione della carta alla raffinatezza disinvolta delle legature.

Guido Scarabottolo è più facile considerarlo illustratore che non grafico. Ma è un illustratore della razza di quelli che, in anni recenti, hanno lavorato tanto per l’editoria e che hanno unito alla bontà delle loro illustrazioni, la bontà dei loro progetti grafici (parliamo di Paolo Guidotti o di Ferenc Pinter naturalmente, oppure di John Alcorn che venne, in anni ormai lontani, 1970-76, a ‘sciacquare in Arno’ i panni dei Push Pin Studios e produsse, per Rizzoli, più di 1500 copertine in sei anni).

Guido Scarabottolo (Topipittori)
Guido disegna e impagina i suoi disegni. Ha un mondo rarefatto e autoreferenziale, sobrio e silenzioso. Le sue figurette si aggirano in universi di senso difficili da decifrare, dai cromatismi forti e decisi, alla ricerca di un ‘luogo comune’ che superi i disagi ambientali del dover raggiungere gli ‘astra’ passando per gli inevitabili ‘aspera’. Per i Topipittori Guido continua l’esperienza felicissima dei Libri a naso che ha disegnato per anni con la sua alter ego letteraria Giovanna Zoboli. Due libri illustrati e progettati (Di notte sulla strada di casa, Due Scimmie in cucina) dove il testo e il disegno del carattere diventano illustrazione e concorrono, in maniera sobria ma personalissima, a dare carattere e personalità ai volumi. Oppure come nel Lupo e la Bambina, quando il Guido Scarabottolo ‘grafico’ mette in pagina i disegni di Chiara Carrer ‘arretrando’ il suo ruolo ad una progettazione “che non si vede perché è bella…” e che costituisce uno degli approdi più alti, al momento, della editoria italiana per l’infanzia.


giovedì 23 giugno 2011

La pigrizia di Bau

Guido Bau Scarabottolo ama definirsi disegnatore pigro. Non è vero, naturalmente, ma noblesse oblige, e non è dunque un caso se una delle sue ultime mostre, allestita a Cremona dall'associazione Tapirulan, che organizza annualmente un concorso per illustratori molto frequentato, era dedicata ad un Elogio della pigrizia. Guido Scarabottolo ha tenuto a battesimo la nostra casa editrice con il suo Pinocchio ed è presente in catalogo con altri due titoli, Il diario di Eva e Il diavolo nella bottiglia (di prossima pubblicazione).  
Pubblichiamo di seguito la breve presentazione al catalogo della sua mostra cremonese.
 
Guido Scarabottolo alla Biennalina di Firenze, novembre 2010

Dunque, si può cominciare con Bau. Un nome di tre lettere, quasi il massimo dell’economicità fonetica (se la batte con Al, Bo e Lu, e ci pare difficile trovare  parole ancora più corte). Bau. Quasi una reazione all’abbastanza lungamente esteso Scarabottolo (dodici lettere) e un ‘miglioramento’ del già sintetico Guido (cinque lettere). Bau.


Guido Scarabottolo, Il diario di Eva, Prìncipi & Princípi, 2010

Ma questo non è certo il punto. La pigrizia di Bau, sempre che di pigrizia si tratti, e di questo c’è da dubitare, nasce da una voglia continua di adeguare il suo segno stilistico, restando sempre fedele a se stesso. Il massimo risultato con il minimo sforzo, direbbe lui.

Chi lo conosce da gran tempo sa che le sue illustrazioni di qualche anno fa erano costituite da disegni fotocopiati su carta colorata (con inchiostri colorati), poi ritagliati sommariamente e composti in collages. Chi conosce i suoi disegni di oggi potrà vedere come il risultato finale sia pressoché identico. Solo che ormai è cambiato il mondo e Guido ha adeguato la sua tecnica. Adesso i disegni a matita (semilavorati!) vengono passati allo scanner, colorati con illustrator e quindi montati secondo necessità e logica. È il lavoro dell’illustratore, si dirà. Solo che di questo ‘lavoro’ Bau ha fatto la sua bandiera e lo rivendica, a buon diritto, come ‘opera d’arte’ originale, perché l’opera stessa è proprio e soltanto quella che esce dalla stampante, l’unico ‘originale’ possibile e pensabile. Partendo quindi dalla pratica del collage Guido è passato alla stampa digitale, usando il computer come un pennello e mantenendo, nel tempo, inalterata, la qualità sia del lavoro che dell’opera. Si potrebbe dire, ancora, il massimo risultato col minimo sforzo, se non ci venisse da sospettare che invece, per questo risultato, di sforzi ce ne vogliano tanti, progettuali, artistici, concettuali.


Guido Scarabottolo, Le avventure di Pinocchio, Prìncipi & Princípi, 2010

Abbiamo perso però di vista, andando dietro alle parole, la pigrizia di Bau.
Pigrizia che, qualora davvero ci sia, e come abbiamo detto ci sarebbe da dubitarne, nasce da una certa qual propensione al silenzio. Guido parla poco, comunica e disegna con pochi tratti essenziali, sobri, quasi afasici. Sono segni parsimoniosi e discreti. Pigri. Il suo silenzio si nutre di paesaggi sconfinati con radi cespugli affogati qua e là, con arboscelli e nuvole allungate. Uomini soli, in mezzo, persi nel silenzio della tavola, contornati da oggetti anch’essi appartati e silenziosi. Poche cose, e anch’esse sobrie. Un mondo intero che si agita sottovoce e sottotono, dove le poltrone si siedono su altre poltrone e le librerie si adagiano su seggioline dalle gambette fragili (ancora pigrizia, forse).


O meglio no, non pigrizia, magari, ma stanchezza. Stanchezza per un mondo che si autorappresenta e si compiace delle sue maniere pacchiane, chiassose, volgarmente bulimiche e che chiede all’artista quasi un momento di riflessione che faccia da contraltare e serva da antidoto. Per immaginarsi una vita più sobria ed essenziale. Meno legata all’apparire e più in sintonia con l’essere. Una vita con qualche attimo di pausa e di silenzio. Di pigrizia. La pigrizia di Bau.


Guido Scarabottolo, Il diavolo nella bottiglia, Prìncipi & Princípi, di prossima pubblicazione

martedì 21 giugno 2011

La torre gattaia

Ci piace seguire i nostri autori anche quando sono, come dire, in libera uscita. Così, in questi giorni siamo andati a dare un’occhiata alla Torre gattaia, ultima installazione di Sergio Traquandi (per noi, una Biancaneve meccanica  e ‘di risulta’), presentata domenica scorsa, 19 giugno, nella Villa Barberino, a Meleto Valdarno.


Sergio Traquandi è figura d’artista sempre capace sempre di sorprenderci. Non appena pensiamo di aver capito qualcosa della sua personalità,  afferrato qualche brandello  della sua cifra stilistica, ecco che, come un'anguilla, ci sfugge di mano e ci rimanda alla casella iniziale.
Certo alcuni degli elementi in gioco si ripetono avvertibili nel tempo, ma sono gli elementi che costituiscono l’hardware del suo lavoro, il versante ideologico e etico: il tentativo, se non la pretesa, ad esempio, di dare a tutto un significato ‘politico’ di sentita partecipazione civile. Questo, ma poi, nei singoli segmenti che compongono la sua arte, Sergio non si lascia ingabbiare e si muove a ruota libera, pescando ovunque la sua vena creativa, o la sua riflessione progettuale, lo indirizzi al momento.



La Torre gattaia si nutre dunque di questi alimenti; del rapporto tra arte e territorio (tra arte, storia e cultura di ogni singolo territorio), con aperture che possono sembrare ecologismo di maniera (le canne che fanno la Torre vengono infatti dal canneto dietro alla Villa Barberino e quindi a Km e impatto zero) ma che poi si rivelano forma, e anche sostanza, del suo lavoro.
L’installazione  di Traquandi segue l’andamento dell’alto pino verso cui tende e su cui pare quasi appoggiarsi e ci fa riflettere sulle funzioni geometriche e matematiche (le ipotesi progettuali) che ne permettono la costruzione e la stabilità.  E in fondo anche sul tentativo, anch’esso se non politico, etico, di interagire con il suo pubblico e di offrirsi, ad esempio, ai giochi acrobatici e spericolati dei bambini che tendono a vedere la Torre non come opera 'sacrale' di arte ambientale e/o concettuale, ma come grande, fascinoso, giocattolo. Da usare e consumare.


domenica 19 giugno 2011

Una casa, per esempio

Conversazione con Roberto Innocenti 

Roberto Innocenti nella sua casa di Montespertoli

Roberto Innocenti è oggi uno dei più famosi illustratori del mondo. Tra le sue opere fondamentali si possono ricordare Pinocchio, Canto di Natale, Schiaccianoci, oltre ai due grandi libri ‘politici’ Rosa Bianca e La storia di Erika. Nel 2008 ha vinto, unico illustratore italiano nella storia del premio, l’Andersen Ibby Award, una sorta di Nobel dell’illustrazione mondiale. Per l’editore americano Creative Editions Innocenti ha appena terminato la sua particolarissima versione di Cappuccetto rosso, tutto ambientato nella periferia della città contemporanea, con supermercati, ingorghi di traffico, bidonville, teppisti in motocicletta (ma di Cappuccetto ci riserviamo di parlare quanto prima, non appena potremo anticipare qualcuna delle immagini più forti e suggestive).
Per le nostre edizioni Roberto ha preparato due cartelle di disegni (La grande arte di Roberto Innocenti e Fienili) e sta mettendo mano all'Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson di cui però non ci azzardiamo più a prevedere la data di uscita.

Il nostro blog è nato da pochi mesi e non avevamo potuto segnalare adeguatamente l'ultima fatica di Innocenti, The house, in italiano la Casa del tempo, in libreria dal novembre scorso per le edizioni de la Margherita. 'La casa' si inserisce perfettamente in quella ricognizione tra storia, politica, antropologia di cui Innocenti ha fatto la sua cifra stilistica più riconoscibile.


Pubblichiamo, di seguito, un'intervista con Roberto tratta dal primo numero della rivista fff, diretta da Gianni Sinni.






Una casa esemplare

La
Casa del tempo è un libro che continua, per così dire, la tua ricognizione, ormai più che un dato stilistico, sul territorio, sulle sue logiche e sulla sua topografia. Ci vuoi dire come è nato il libro.

Roberto Innocenti. L’inizio della Casa del tempo è in vecchio disegno di molti anni fa. Un disegno che non era servito a niente ma che poi ha determinato, come a volte succede, il cominciare di un racconto. La casa è un rudere seicentesco a mezza costa, una colonica abbandonata ai margini di un bosco, campi angusti sostenuti da terrazzamenti di pietra. La mia casa viene ‘rioccupata’ all’inizio del novecento da una famiglia contadina ed è scena e attore dei fatti del secolo scorso. Davanti alle sue pietre passa la grande storia, la prima guerra mondiale, il fascismo, la seconda guerra e la lotta di liberazione, il passaggio del fronte e l’arrivo degli alleati, il nuovo abbandono e il recupero di una comunità hippie degli anni sessanta, poi il finale, che potrei dire tragicomico, con il riattamento borghese e funzionale da seconda casetta residenziale, completa di archetti tosco-goticheggianti, piscina, macchina di lusso e nani da giardino a completare una storia che si segnala, alla fine, come storia di nuova decadenza. Adesso la mia casa potrà essere ampliata del 20 o del 35 per cento e si potranno costruire, che sò, la sauna o la piscina coperta.




Ma la casa non scandisce solo la grande storia del novecento. Ricorda, per chi ha o vuole avere memoria, anche le piccole storie della società.

Roberto Innocenti.
È una colonica che si pone chissà dove sulla linea gotica, rifugio di poveracci, di una delle tante famiglie contadine molto più ricche di bocche da sfamare che di mezzi per sfamarle. Contadini che non hanno terra buona ma che devono strappare ai primi contrafforti della montagna un lembo di campo per piantare un filare di vite, qualche olivo. È una casa dove l’elettricità arriverà tardi, forse negli anni sessanta, C’è un nucleo familiare che fatica la vita, nel corso del tempo, e che viene tenuto insieme dalle donne, mentre gli uomini se ne vanno coscritti verso le guerre che non gli appartengono, quelle del Carso nel 15-18, o quelle che gli appartengono, come la lotta partigiana del 43-44. E infatti la fine sarà segnata dalla morte e dal funerale della vecchia mamma che serve da raccordo significativo per tutta una storia del secolo.


Dopo la fine della vecchia famiglia contadina (i figli saranno andati in città, in fabbrica o chissadove) la storia cambierà e potrà essere raccontata dai nuovi ricchi che ristruttureranno la casa in pacchiano look neocaliforniano.

Roberto Innocenti. Non potrà più essere, però, la stessa storia; mancherà della continuità con il passato, perché per raccontare quell’altra storia, c’è bisogno di chi quelle vicende le ha vissute e che conosce quei luoghi, quei campi, quei boschi.

Dice Stephen King che lui scrive del Maine perché, in fondo, è l’unica comunità che conosce bene, la sua.

Roberto Innocenti. Ecco, qui è un po’ la stessa cosa, bisogna conoscerla quella comunità per poterla raccontare, conservarne, non con nostalgia ma con una sorta di onestà narrativa e visiva, la memoria possibile.
Intorno alla casa ci sono pochi elementi costanti che ne mantengono, nel tempo, il carattere e lo ‘stile’. Ci sono le pietre dei muri e dei muretti, pochi mattoni rossi, il pozzo, i terrazzamenti strappati al greppo. Il mondo avvertito e conosciuto è tutto lì e c’è la certezza del racconto topografico del territorio. Il resto è vicino ma estraneo, ci sono pochi contatti anche con il paese che si presume  un poco più in basso, con l’altra gente che si raduna solo per le occasioni importanti, un matrimonio, la liberazione, un funerale. È la storia di quello che si conosce e che magari si guarda senza nostalgia ma con una sorta di epocale distacco oggettivo.



Una storia locale che diventa storia esemplare.

Roberto Innocenti. Può essere una storia esemplare. È il racconto della trasformazione di una comunità. Io sono nato a Bagno a Ripoli nel 1940. Per andare in città c’era solo il tram, il 33, e le vie intorno a quelli che oggi sono viale Giannotti e Viale Europa, erano a sterro. I campi erano fuori dell’uscio di casa e passavano i barrocci tirati dai bovi. Quella Firenze è scomparsa dopo l’alluvione. I quartieri si sono dissolti, il tessuto sociale della comunità si è disgregato nelle periferie dormitorio. Dagli anni ’70 Firenze non c’è più. Poteva essere salvata, forse, ma non è stata salvata. I quartieri popolari (Santa Croce, San Frediano, San Lorenzo…) che avevano composizione mista, ceti alti e bassi insieme, hanno perso ruolo, funzione, identità. Quello che c’è adesso si vede bene e non è, a mio parere, un bel vedere. Firenze ha perso l’anima e lo possiamo affermare anche senza quella nostalgia che sembrerebbe inevitabile nelle parole.

Sembra di capire, quindi, che i tuoi disegni si pongono come un mezzo per l’analisi critica della società…


Roberto Innocenti. Con questi disegni non credo di voler fare l’analisi critica o politica di un mondo e di una società in trasformazione costante, né spero di rifugiarmi in un’amarcord stucchevole e fuori luogo. Si tratta però, questo sì, di un’analisi visiva e antropologica. Questo era, questo non è più. Per ricordare e riflettere.

giovedì 16 giugno 2011

Simone Frasca alla Bottega dei Ragazzi


Capita a volte di dover parlare per giorni di seguito della stessa cosa, o meglio dello stesso autore. È capitato altre volte e crediamo che capiterà ancora. In ogni caso questa volta tocca ricordare ancora Simone Frasca e il suo papero-ombrello (qui e qui) che sarà il protagonista di un altro laboratorio, ultimo della serie Tratto magico, alla Bottega dei Ragazzi dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, domenica 19 giugno alle ore 10,30.

Nient’altro da dire se non sottolineare che si tratta di non perdere l’occasione di vedere Simone che racconta e disegna ex tempore: un fabulatore cordiale e fascinoso, una specie di pifferaio di Hamelin capace come nessuno di tenere inchiodati i bambini alle sue parole, ai suoi racconti, ai suoi disegni, ai suoi giochi. Forse perché anche lui è rimasto un poco bambino.

mercoledì 15 giugno 2011

Amici a quattro zampe


Dal 20 al 26 giugno, torna il Festival di letteratura e immagini per bambini Comano Junior d’autore che per l’edizione 2011 si occuperà di cani e gatti (ma anche degli altri animali della casa e della stalla), che affollano le pagine dei libri e popolano il mondo delle fiabe. Per un’intera settimana gli animali saranno protagonisti  alle Terme di Comano, con il meraviglioso fondale 'scenico' delle Dolomiti del Brenta, di giochi, esperimenti, laboratori, spettacoli, letture, escursioni, avventure e merende letterarie.

In mezzo a un programma ricco e articolato ci piace ricordare le nostre Brunella Baldi e Francesca Capelli che con passione e generosità hanno percorso avanti e indietro l’Italia per presentare Il grande cane nella città fantasma.




Nato dall’esperienza di Francesca all’Aquila, nei giorni del terremoto, il libro racconta la tragedia con un linguaggio che non è quello della cronaca giornalistica, ma quello - simbolico - della fiaba. Francesca e Brunella ci insegnano “… che si può raccontare un terremoto e le sue terribili implicazioni, il dolore che ne deriva, la perdita di averi e affetti, lo spaesamento, la distruzione della comunità, le scelte sbagliate della politica, attraverso una fiaba. E che raccontare il male non pregiudica la voglia di rinascere e il risorgere della speranza.”

martedì 14 giugno 2011

L'universo creativo di Serena Intilia

La Tribù dei lettori si è appena chiusa a Roma. Incontri, presentazioni, dibattiti sotto le tende nelle piazze romane. Nicoletta Basile di http://www.scuolaw.it/ ha intervistato Serena Intilia che, nell'occasione,  aveva appena tenuto due workshop alle librerie Scuola e culturaIl Ghirigoro. Ci fa piacere riportare integralmente l'intervista con la nostra giovane autrice.

Illustrazione in Italia e in Europa

Sotto la tenda della tribù dei lettori puoi fare incontri davvero piacevoli e interessanti: uno di questi è con Serena Intilia. L'artista presenta il suo ultimo lavoro: le immagini del libro In viaggio, scritto da Antonio Ferrara e pubblicato da Prìncipi & Princípi. L'illustratrice è impegnata a diffondere la creatività nelle scuole e da anni svolge laboratori creativi e corsi d’illustrazione. Per conoscerla meglio vi invitiamo a visitare il suo blog: www.serenaintilia.blogspot.com.


Qual è a tuo parere lo stato di salute del libro per ragazzi in Italia?

La  situazione in Italia non è molto piacevole. Per quanto mi riguarda, sono un’autrice che gli editori considerano ‘coraggiosa’, che fa un tipo di disegno ardito quindi poco vendibile e difendibile dal punto di vista dell’editore. In Italia l’editore preferisce andare sul sicuro, tranne alcuni esempi di editoria coraggiosa, Orecchio Acerbo o Topi Pittori che hanno le spalle coperte e che possono permettersi di investire su un tipo di disegno diverso da quello che si vede abitualmente. Gli editori ancora preferiscono promuovere gli autori super affermati che gli garantiscono sicurezza nelle vendite, e per noi è un po’ complicato. Le vendite di libri in Italia sono basse, le librerie ordinano pochi libri diversi. Si punta sul commerciale, sul più venduto.

Quanto conta la distribuzione e come funziona?

La distribuzione è un serio problema. Il distributore è colui che prende il libro e lo porta fisicamente nelle librerie. Se questo non succede, il libro non avrà mai la visibilità. La mia strada è creare momenti di promozione alla lettura e di laboratorio d’arte. In questi momenti ho la possibilità di farmi conoscere.


È un peccato, perché questi libri ‘diversi’ vengono accolti in modo molto positivo…

Se ne deve parlare, dando la possibilità al bambino di conoscere cose nuove e diverse. Gli insegnanti di solito sono tradizionali e si attengono ai loro programmi, difficile che escano dagli schemi. La distribuzione, l’informazione devono far passare le novità, altrimenti rimaniamo ai soliti personaggi, ai soliti libri.

La situazione è analoga negli altri Paesi?

La Francia vanta dei festival come quello di Montreuil, spettacolare, niente a che vedere con la Fiera di Bologna in Italia. Più un libro è venduto, più sono motivati a investire nel nuovo, come la casa editrice Autrement.

L’illustrazione è didattica sia per i più giovani che per gli adulti. Come è vista in Italia?

Oggi in Italia siamo ancora lontani dal considerare l’illustrazione un’arte. Ci sono poche realtà organizzate per i bambini e finalizzate a promuovere la creatività, forse chi prova a proporre a Roma è il Palazzo delle Esposizioni, poco altro. In Francia pensiamo al Centre Pompidou: esistono libri fatti di immagini, libri straordinari che procedono per allegorie. Esiste una collana L’imagiere, edizioni Thierry Mugler,  libri che hanno un senso per chi li compone; editore, scrittore e illustratore che decidono insieme come associare le immagini. Ad esempio, dal biberon al bicchiere, dalla mucca alla mammella della mucca per passare al prato e dal prato per sensazione si passa alla barba del papà che va al cactus, perché è ruvida. Libri che sono di supporto nelle scuole per insegnare educazione all’immagine. Secondo me sono meravigliosi. Io propongo questo tipo di attività e vengo vista come un personaggio curioso, ma sono contenta di farlo perché poi il mio lavoro viene apprezzato.


Oggi illustrazione e fumetto sono considerate due dimensioni non comunicanti?

Oggi ci sono autori in grado di passare dal fumetto al graphic novel, dipende dalla formazione. C’è chi sa passare da un linguaggio ad un altro, ma in generale siamo due mondi differenti.

Quali sono i centri di formazione in Italia?

Io ho frequentato il Liceo Artistico e all’Università ho studiato Storia dell’Arte. Sono autodidatta, per conto mio ha frequentato corsi di aggiornamento con tanti illustratori che mi piacevano, per approfondirne le tecniche. Adesso ci sono più scuole.

Nicoletta Basile

lunedì 13 giugno 2011

Nuove avventure del papero-ombrello

  
Aurora
C’era una volta un ombrello che vedeva che tutti quell’altri ombrelli, quando pioveva, andavano a coprire le persone. Lui non l’aveva mai fatto e disse: “Posso andare anch’io a coprire le persone!!!"
Ne coprì una e siccome quest’idea gli era piaciuta decise di coprire le persone tutti i giorni. Però il giorno dopo tornò a casa tutto bagnato e anche con un graffio perché era venuto anche un fulmine.
Decise di provare l’ultima volta e vide un fulmine ancora più grosso. S’impaurì, andò subito a casa e decise però che lo doveva fare per forza. Provò l’ultima volta e non erano venuti punti fulmini.
Così decise di farlo tutti i giorni ma siccome le persone senza ombrello non c’erano più, decise di coprire le rane.


Simone Frasca e i bambini della scuola per l'infanzia Gianni Rodari di Castelfranco di sopra

L’illustratore racconta e disegna una sua storia. I bambini lo ascoltano divertiti, mettono continuamente bocca, dialogano con l’autore (che sta al gioco, anzi che lo suscita!), cercano e a volte impongono una loro versione personale della storia, introducono personaggi, raccordano i disegni con la loro esperienza giornaliera, con la loro mamma, con i loro gatti, con il giardino sotto casa, con quello che vedono alla televisione. Alla fine quello che il libro ha dato ai bambini è molto ma forse è di più quello che i bambini hanno dato al libro: una realtà nuova ed eccitante a misura ed esperienza di ciascuno.
Una mattinata a Castelfranco di Sopra, nella scuola per l'infanzia Gianni Rodari, con Simone Frasca e il suo libro Sono quello che mi pare!, ottimamente preparata, nei giorni precedenti, dalle maestre e dai bambini (farfalline, gatti, elefanti a seconda dell’età) che hanno reinventato e ridisegnato nuove avventure del papero-ombrello e della sua amica, la rana Pina.

Martina
Un ombrello di Simone venne al mio campo e si mise a giocare con tutti i miei gatti. Ma loro lo graffiarono e lui non tornò più.



Davide
C’era una volta un ombrello che prese la sua amica rana e la portò a fare un viaggio sulla nave.



Melissa
Un ombrello andò sulla spiaggia e fece un castello di sabbia.



Virginia
L’ombrello andò in Africa e si mise a giocare coi bambini nerini.




domenica 12 giugno 2011

Un mare di libri


Grande programma, intenso e ricco come il ripieno di una piadina romagnola, per l’edizione 2011 di Un mare di libri, festival dei ragazzi che leggono, a Rimini dal 17 al 19 giugno. Autori, illustratori, docenti, discutono e si confrontano sullo stato della letteratura per ragazzi. Non solo: nel corso del festival sarà possibile visitare mostre, seguire eventi teatrali, approfondire temi e situazioni.

Tra i tanti ospiti previsti dal programma possiamo ricordare, un po’ alla rinfusa, Antonio Faeti e Teresa Buongiorno, Emy Beseghi e Fabian Negrin, Lia Levi e Emilio Varrà, Loriano Macchiavelli e Beatrice Masini, Francesca Capelli e Fabrizio Silei, Antonio Ferrara e Giorgio Scaramuzzino.

Il festival è ideato e organizzato dalla libreria Viale dei Ciliegi in collaborazione con l’editore Rizzoli.

venerdì 10 giugno 2011

Trasformazioni morfologiche



Gianni Fanello, Rospo 500, 2011

Di Gianni Fanello non ci siamo ancora occupati nel nostro blog ma, nel catalogo della casa editrice, lo scultore toscano è presente con due titoli: le illustrazioni per la Metamorfosi di Franz Kafka e la sua monografia Reincarnazioni.

Gianni Fanello, Rospo 500, 2011 (particolari)


Adesso, da Giugno e fino a Dicembre 2011, le sue sculture sono esposte nel bellissimo contesto di Castell'in Villa, una villa-fattoria del Chianti senese, presso Castelnuovo Berardenga. Le opere sono di grande suggestione formale e la location, come si dice oggi, è certo straordinaria.

Castell'in Villa, Castelnuovo Berardenga, Siena

L’opera complessiva di Gianni Fanello, avevamo scritto nel volume Reincarnazioni, "... ha la sostanza dei sogni, è aerea e lieve, inafferrabile, ma ha anche la forza e la concretezza della ferramenteria, con le saldature, le rivettature, i bulloni, le cerniere e i ribattini.
Fanello si muove con disinvoltura nel suo mondo di ossimori, tra creature leggere e pesanti, con i miti di ‘trasformazione’ che lasciano scivolare significati in sospensione tra ‘materia’ e ‘spirito’. Con la lamiera saldata, il rame levigato e i pezzetti di metallo recuperati chissà dove, Gianni ci racconta un mondo archetipico dove i personaggi, gli insetti, gli animali, sono anch’essi, da millenni, in trasformazione morfologica. Figure ‘antiche’ intrappolate dentro saldature ‘moderne’ di rame e scaglie di ferro. Sono la realtà e la favola, il rifiuto e il rinnovo delle forme, il vecchio e il nuovo. Sono l’inventario della nostra cattiva coscienza e l’attesa di una palingenesi probabile."

Gianni Fanello, Formica guerriera, 2010
Gianni Fanello, Principe, 2007