sabato 31 dicembre 2011

Ricordo di Roberto Luciani

Il 2011 chiude con una brutta notizia. È infatti venuto a mancare l'altro ieri, 29 dicembre, Roberto Luciani, fiorentino, disegnatore di fumetti, illustratore, scrittore, tecnico editoriale attivo e curioso, disponibile e infaticabile. Francesca Capelli ci ha dettato un breve ricordo dell'amico che pubblichiamo di seguito.

Ricordo...
Francesca Capelli

Ho conosciuto Roberto Luciani nel 2004, in occasione del mio primo libro con Giunti Progetti Educativi. Fin da subito ha creduto in me, nelle mie capacità di autrice, più di quanto ci credessi io. Mi ha dato fiducia - come hanno fatto gli altri "capi" - pagina dopo pagina, libro dopo libro, progetto dopo progetto. Mi ha affiancato fin da subito ai migliori illustratori . Ogni volta che mi proponeva di fare qualcosa di più difficile, la sua richiesta era accompagnata da questa frase: "Francesca, quando avrai capito come si fa, sono sicuro che mi metterai meno tempo di quanto potrei mettercene io" (che era una menzogna, ma di quelle che è un piacere ascoltare).
Potevo scrivergli alle 8,30 del mattino di un sabato per esporgli un dubbio, con la certezza che nel giro di mezz'ora mi avrebbe risposto con la soluzione (facendomi credere che l'avessi già trovata io). Non solo aveva le risposte (e se non le aveva, ne parlavamo finché non arrivavano), ma sapeva capire le domande, intuiva la difficoltà nascosta dietro un nodo narrativo che non riuscivo a superare.
Sapeva dare indicazioni precise e al tempo stesso rispettava il registro, lo stile, il mondo immaginario di ogni autore.
A Natale aspettavo ogni anno, con ansia, la sua vignetta di auguri, sempre ironica, mai banale, mai volgare, piacevolmente cinica e disincantata.

Non sono riuscita a piangere, quando ho saputo che è morto. Non piango mai per le cose serie, e mi farebbe un gran bene. Riesco a piangere solo al cinema.
Io, Roberto, non so come ricordarlo, se non lavorando come lui mi ha sempre insegnato: fare le cose al meglio delle proprie capacità, perché poi ci sente felici; sentendo la responsabilità di ciò che si fa, prendendo sul serio il lavoro e un po' meno se stessi, divertendosi, con quella leggerezza di calviniana memoria che era tanto sua. Ed è così che mi piace immaginarlo: leggero, con quel mezzo sorriso ironico e benevolo, a rallegrare con i suoi disegni il luogo dove si trova ora.

venerdì 30 dicembre 2011

L'anno che verrà...



Come ogni anno, dalle pagine di Repubblica, Michele Serra affida alla sua vena satirica gli auguri e le previsioni per la nuova stagione. Divertente e amarissima filastrocca, piena di buon senso e di ricordi dell'anno passato, che formeranno la sostanza di quello futuro. La filastrocca intera potete leggerla nel sito di Repubblica. Noi ve ne diamo un assaggio, insieme ai nostri migliori auguri.


Dicembre

È dicembre, e c'è chi teme
per la profezia dei Maya
e si pente, piange e geme
aspettando la mannaia.
C'è chi canta tra le rupi
chi si droga con le rane
chi fa imbalsamare il cane
che la morte non lo sciupi.
Qualcheduno si suicida
per sottrarsi all'incombenza
di quell'ultima corrida.
Altri dicono: "pazienza".
Ma una fonte più accurata
spiega meglio i codicilli:
"Moriranno, in quella data
solamente gli imbecilli".

Michele Serra

giovedì 29 dicembre 2011

Sergio Traquandi: utopia e realtà

A meno che non si voglia confinare il mondo dell’arte nella sfera del solipsismo, si deve riconoscere che ogni attività creativa è un tentativo di trasformazione della realtà, e quasi sempre di natura squisitamente politica. L’artista incide sul mondo che lo circonda, ne misura le distanze e opera, in ogni caso, uno stravolgimento di senso.

Sergio Traquandi, Cipresso

Dato questo per scontato si può affermare come gran parte della migliore arte contemporanea vada un passo più in là, e non si limiti a cercare un cambiamento attraverso una modificazione delle coscienze e del sentire di ognuno, ma operi direttamente  sulla realtà, cercando di piegarla ai propri fini, artistici e creativi  in primis, ma anche etici e ‘politici’.

Se la realtà non ci piace, quindi, quale atteggiamento più logico se non quello di volerla cambiare? Se il mondo consuma e rifiuta, in ciclo ininterrotto, le idee, i progetti, le merci della propria quotidianità, cosa meglio che recuperare quelle idee, quei progetti, quelle merci per dar loro vita nuova, collocandoli in un diverso contesto?

Sergio Traquandi, Elemosinatore automatico

Detto in poche parole, l’opera di Sergio Traquandi è tutta qui, in questo incessante recupero di idee e oggetti abbandonati, nella riappropriazione di qualcosa che sembrava ormai inutile e superato, da gettare inesorabilmente via.

Lo studio-laboratorio di Sergio Traquandi, Meleto Valdarno


La visita al suo studio è quindi come la discesa dantesca in una discarica: oggetti confusi, affastellati, diversamente recuperati, impolverati, arrugginiti, rotti. Oggetti di cui abbiamo dimenticato,  o abbiamo sempre ignorato, l’uso e il significato originario. Stanno là, poveri pezzi di legno, di ferro, di plastica,  portati via da quello che altri hanno definito “lo scorrere del fiume urbano” e aspettano che un atto di buona volontà creativa  (un atto politico?!) li riporti a riva, come la risacca, e dia loro un nuovo senso.

A volte succede,  a volte non succede, e mentre il catalogo delle opere di Sergio si accresce con parsimonia progettuale, il campionario delle possibilità si gonfia nelle migliaia di ‘reperti’ che riempiono le stanze del suo studio-laboratorio di Meleto Valdarno.

Le forme di legno di un cappellificio possono, allora, diventare ‘nani da soffitta’, un manichino rotto può trasformarsi in angelo cyborg, le componenti di un computer, superato dai tempi impietosi  dell’informatica, rivivere come gioielli singolarmente bellissimi, Pegasi o Pinocchietti misteriosamente tecnologizzati.

Sergio Traquandi, Cherubino Cyborg
Sergio Traquandi, Pegaso
Sergio Traquandi, Pinocchio computerizzato

Ma può anche darsi che l’oggetto da recuperare  sia uno scorcio di paesaggio che viene visto, attraverso  il gioco dei pieni e dei vuoti del grande cipresso sulla via del Chianti, in modo totalmente  e definitivamente  diverso. Può darsi che l’artista recuperi i poliedri di Luca Pacioli e li pieghi ad una sua ‘tignosa’ ricerca didattica,  può darsi che cuocia dei pani che riproducono il celebre marchio pacifista “… perché il pane della pace è sempre buono!”, può darsi che nella Torre Gattaia usi modelli e processi matematici per offrirli ad un uso più attento del territorio e al gioco dei bambini.

Sergio Traquandi, Questo pane che ho cotto nel 1991 è ancora fresco

Sergio Traquandi, modellino per la Torre Gattaia

Può darsi, infine, che segni con ottanta numeri giganteschi i quattrocento  metri del muro esterno delle ex acciaierie  Beltrame di San Giovanni Valdarno. Quei numeri sono uomini, e stanno rischiando, più che rischiando, di perdere il loro lavoro. E sono gli stessi operai che, con Sergio, tracciano  fisicamente sul muro il 'loro' numero in una performance che non è, né vuole essere, solo artistica.


L’impatto ambientale  è forte, come un pugno nello stomaco; più forte ancora ci si augura possa essere l’impatto politico, quell’incidere sulla vita reale di cui Sergio ha fatto la ragione necessaria e sufficiente del suo lavoro quotidiano.
 

Sergio Traquandi, Più di zero, numer/azione, San Giovanni Valdarno


Numer/azione. Progetto di immagine numerica atto a sensibilizzare sulla reale consistenza dei licenziamenti. Da anni i numeri dell'economia, della borsa, del PIL lo spred, ecc... vengono somministrati con dovizia e rapidità da ogni mezzo d'informazione, la loro rindondanza ha fatto sì che si perdesse il senso della loro influenza sulla vita reale, nella quale il benessere viene misurato dai cittadini con ben altri e più tangibili indicatori. Per reimparare a contare le persone! Ottanta numeri di grandi dimenzioni, bianchi su nero, che ci sfilano a fianco, cifra per cifra, per reimparare a contare e per contare di più. (Sergio Traquandi)

mercoledì 28 dicembre 2011

Il Presepio di Mao

Della Rivoluzione culturale cinese, a ben guardare, esistono pochissime fotografie, molte delle quali chiaramente e quasi dichiaratamente artefatte. Eppure non crediamo sia mai esistito regime che più del maoismo si sia basato sulla forza dirompente dell’immagine e della propaganda. I numeri sono impressionanti: durante gli anni della Rivoluzione culturale (dal 1966 al ’76, quando il Presidente Mao morì) furono stampati e diffusi oltre cinque miliardi di copie del "Libretto Rosso", i distintivi in alluminio con il profilo del Grande Timoniere furono distribuiti in oltre quattro miliardi di copie, innumerevoli (negli stessi ordini di grandezza) furono le copie di manifesti con il volto, le frasi, gli insegnamenti di Mao.


Una bocca da fuoco propagandistica che alimenta ancor oggi un fiorentissimo mercato mondiale di memorabilia. Perché dunque questo fiorire di gadgets ante litteram e non di documentazione fotografica? “Perché - risponde la sinologa Renata Pisu – l’intenzione non era quella di trasmettere o documentare la storia ma di collocarla in un’epoca mitica, quando Ulisse cercava di raggiungere la sua Itaca, quando Attila cavalcava alla testa delle sue orde, quando Robespierre saliva anche lui, alla fine, sul patibolo. La grande rivoluzione andava illustrata, dipinta. Si documenta l’Utopia? Si documenta la Follia?” Storia quindi che prende la via del Mito e diventa immediatamente agiografica e, dal punto di vista iconico, completamente oleografica.

La banda dei quattro

Tra gli oggetti più notevoli di questa massiva opera di propaganda, dove ogni atto e ogni parola devono essere 'esemplari', restano le statuine di terracotta che raccontano, con colori squillanti e caramellosi, le storie piccole e grandi dell’epopea. Un vero e proprio ‘esercito di terracottine’ come, a simiglianza e parodia di un più imponente ‘esercito di terracotta’, le chiama Philippe Daverio. Le statuine sono la vulgata popolarissima che racconta in ogni provincia e in ogni campagna, in ogni villaggio e città, nelle scuole e nelle fabbriche, la vita e le vicende leggendarie del Grande Timoniere.

Il Grande Nuotatore

Non manca la famosa nuotata nel fiume giallo e lui, Grande Nuotatore, che ne esce asciugato nel celebre accappatoio bianco; non mancano neanche gli altri protagonisti, i buoni e i cattivi dell’epopea, da Lin Piao alla banda dei quattro, ai medici scalzi delle campagne, alle guerrigliere che aiutano l’Esercito popolare, ai soldati, agli operai, ai contadini, “uniti nella lotta” sotto il pensiero e la guida del capo. Un vero e proprio presepio che del presepio ha la ritualità e la codifica, con i personaggi e le situazioni archetipiche, le figure caratteristiche e quelle simboliche.


La compagna della Brigata delle Oche

La Guardia rossa


Lei Feng: servire il popolo
Come il soldato Lei Feng, ad esempio, che di notte si alzava dal letto nella camerata, toglieva i calzini sporchi dai piedi dei compagni addormentati, li lavava, li asciugava e stirava per poi infilarli di nuovo ai piedi degli addormentati. Lei Feng era la personificazione di come si possa con abnegazione ‘Servire il popolo’ e lui (che non si sa nemmeno se davvero sia esistito!), con la sua stucchevole e stolida bontà chissà cosa penserebbe vedendo la sua statuetta ridotta oggi ad un contenitore di preservativi. Anch’essi ‘servono al popolo’, in modo meno virtuoso, ma certo più piacevole e ammiccante.

Oppure come l’operaia-ballerina del “Distaccamento rosso femminile”, Wu Qionghua, che salta ancora impettita sulle punte con il fucile pronto a far fuoco. O ancora le tante Guardie rosse occupate nella ‘rieducazione’ forzata degli intellettuali controrivoluzionari che hanno dimenticato, poveretti loro, gli ‘insegnamenti’ della lotta di classe.

Il Distaccamento rosso femminile

La rieducazione degli intellettuali

Colpirne uno per educarne cento

Una continua epifania popolare, come ogni presepio, da ricostruire e raccontare, secondo schemi dedotti dal “Libretto Rosso”, in ogni casa, in ogni circolo, in ogni aula scolastica. Statuine che narrano ognuna una propria storia che non sarebbe stata possibile senza il 'Mao Zedongpensiero' che tutte le ispira e le comprende. E che oggi, esaurita la loro funzione didattica e scaramantica, vanno tutte ad alimentare i mercatini internazionali della nostalgia e del bric à brac.



Bibliografia essenziale: Mai dire Mao, a cura di Gherardo Frassa, Nuages, 2008.

martedì 27 dicembre 2011

Maestri 23. André François

André Farkas, conosciuto poi come Andrè François, nacque a Timisoara, il  9 novembre 1915  ed è morto, a Grisy-les-Plâtres, l'11 aprile 2005. Si trasferisce a Parigi nel 1934 e lavora a fianco del grande affichiste Cassandre.
Pittore, scultore, cartoonist, grafico, illustratore. Disegnò  copertine, tra gli altri, per Punch, New Yorker, Nouvel Observateur. Centinaia i suoi manifesti e cospicua anche la sua opera di illustratore di libri.


Illustrazione per Amnesty International
Che André François sia stato un grande maestro non ci sono dubbi. Più difficile semmai circoscrivere i contorni della sua arte.
Pittore? Scultore? Illustratore? Affichiste? Umorista? A ben guardare tutte le definizioni gli si possono attaccare come una seconda pelle. Per poi lasciare insoddisfatti perché nessuna di esse riesce ad abbracciare la complessità dell’artista. Certe sue pitture (o sculture) hanno i tratti che caratterizzano l’umorista. Certe illustrazioni sono dei veri e propri manifesti, certe copertine e certi cartoons pittura e così via.

Napoleonic cat, 2001

Chat-parque, 1980

Se comunque si considera la storia personale e il momento storico in cui si era trovato ad operare, la cosa appare meno stupefacente, quasi normale. Negli anni ’30 André François era stato allievo di Cassandre, forse il più grande dei maestri francesi dell’affiche, poi si era cimentato a lungo con la scenografia (i balletti di Roland Petit e Zizi Jeanmaire, o quelli di Gene Kelly, ad esempio). 

Copertina di The New Yorker, 1971
Aveva disegnato centinaia di manifesti e copertine per The New Yorker e per Punch ed era, a tutto diritto, sodale e amico dell’aristocrazia della grafica mondiale in un momento in cui (gli anni ’50, ’60, ’70…) non c’era parcellizzazione dei ruoli e il grafico disegnava vignette umoristiche, illustrava le sue copertine, si dedicava con profitto alla pittura. In tutte le attività portando sempre la sua personalità, in questo caso ironica, umorosa, surreale. 
Per certi aspetti François può essere avvicinato a Saul Steinberg, ma con in più un pizzico di cordialità e un’abbondante dose di autoironia che ci rendono le sue opere forse più vicine delle geometrie intellettuali e dei teoremi grafici, raffinati e siderali, del grande Steinberg (e significativamente entrambi erano rumeni di nascita).



Copertina di The New Yorker, 1968

Copertina di The New Yorker, 1973

Il piccolo Marroncini, Einaudi 1972
L’attività di André François come illustratore di libri è, se non sterminata, certo importante e spazia da opere di Boris Vian  ad un Ubu Roi di Jarry, da Raymond Queneau a Aldous Huxley.

In italiano, a nostra memoria, fu pubblicato Il piccolo Marroncini, nella benemerita Tantibambini di Bruno Munari (1972, ma il libro, scritto da Isobel Harris, è del 1949) e, per i tipi della Emme, negli anni ’70 e proprio quest’anno riproposto da Babalibri, Chi è il più buffo?, un contrasto surreale tra un Pulcinella, nasuto e spigoloso, e un Pu, panciuto e rotondo.



Copertina di Chi è il più buffo?, Babalibri 2011

Tra un versetto e l’altro Pulcinella e Pu giocano a farsi dispetti e a vantare una supremazia per il più buffo di loro. I disegni sono veloci, quasi sommari. Pulcinella è chiaramente Punch, l’omologo inglese, tante volte raffigurato per le copertine del settimanale satirico, e il suo profilo, come ha osservato Walter Fochesato nel numero di dicembre di Andersen, è un quarto di luna. La testa rotonda e gialla di Pu ricorda invece il sole e il contrasto tra i due, anche se giocato con leggerezza divertita, è il contrasto tra la notte e il giorno, tra le tenebre e la luce. Chissà se André François, schizzando veloce il duetto tra i due aveva pensato a un conflitto di natura cosmica?!

Illustrazione per copertina di Punch

Copertina di Punch

lunedì 26 dicembre 2011

Libri recuperati 6. I tre porcellini

Libri che non avevamo segnalato perché il nostro blog non esisteva ancora. Libri che abbiamo segnalato altrove. Libri che meritano comunque di essere segnalati e ricordati. Libri mai usciti in Italia. Libri da ricordare per testi e immagini. Libri.

6. Steven Guarnaccia. I tre porcellini

Come aveva già fatto con Riccioli d’oro e i tre orsi anche con questo Tre porcellini, edito da Corraini, Steven Guarnaccia si diverte a ripercorrere momenti essenziali, fondanti, dell’architettura e del design del XX secolo, disseminando la storia dei tre fratelli porcelli e del lupo cattivo di edifici e oggetti significativi, che si devono alla penna di Gehry, Le Corbusier, Philip Johnson ecc.
Ne deriva una storia raccontata, se così si può dire, con l’occhio strabico, attenta da una parte ai contenuti della fiaba e dall’altra all’individuazione dei particolari che si disseminano nella pagina e le danno sostanza e sapore.
 La casa Gehry, costruita dal primo porcellino pigro con ‘rottami e lamiera’, viene spazzata via dal soffio del lupo che, comunque, come da copione, dovrà arrendersi di fronte alla solidità della casa del terzo porcellino (una bellissima, wrightiana, casa sulla cascata).







Con questo Tre porcellini Steven Guarnaccia aveva continuato il suo discorso complessivo sulla cultura del progetto nel movimento moderno, rivisitata sempre con attenzione e puntualità, ma anche con l’affetto e l’ironia del fumettista di vaglia. Un percorso che, negli anni passati, aveva portato Steven a commentare i fatti dell’architettura dalle pagine di Abitare e che è disseminato di episodi di grande spessore, quale, ad esempio, il bel ricordo dell’opera di Achille Castiglioni redatto, qualche anno fa, insieme a Paola Antonelli (Corraini editore).



Steven Guarnaccia, I Tre Porcellini, Corraini editore, 2009, euro 16,00.

venerdì 23 dicembre 2011

Auguri 2012 dal mondo dell'illustrazione e della grafica

Prìncipi & Princípi

Una carrellata con gli auguri che sono arrivati in redazione. 
Di tutto un po', un gran fritto con tanti sapori diversi. 
Autori affermati, giovani promesse, librai, editors, grafici, fotografi...
Tutti però a stringere i pugni e a giurare che il 2012 sarà migliore del 2011. 
Gramsciano: l'ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione.

ps. La galleria sarà aggiornata fino al 6 gennaio 2012.

François Caspar
Majid Abbasi
Ronald Shakespear
Ivan Annibali
Natalia Jankovski
Ferruccio Giromini
Alex Dukal
Loredana Jannuzzi
Costanza Favero
Daniele Nannini

Paola Vassalli (Palazzo delle Esposizioni, Roma)

Thierry Sarfis
Vladimir Slvtsevich

Srimalie Bassani

Sonia Zanat, Silvia Orso (Allymind Comunicazione)

Giovanni Santi

Galleria Mio Mao Perugia

Arianna Papini

Giancarlo Iliprandi

Mario Piazza

Sergio Traquandi, Franca Gori
Antonella Morico

Fabio Chiantini (Limite Design)
Alberto Soi

Francesco Maria Giuli (Molly e partners)

Chaz Maviyame Davis
Stefano Rovai, Susanna Weber

Lirici Greci
Sergio Vezzali


Libreria Babele
Beppe Giacobbe
Rosaria Iorio
Gianni De Conno
Alida Massari
Brunella Baldi
Alessandro Battara
Francesco Fagnani
Claudio Saba (Pegasus)
Monica Monachesi (illustrazione Madalena Matoso)
Libreria Cuccumeo, Firenze
Conc
Silvia Barbagallo (immagine di Kathleen Brooks)
Eleonora Cumer
Anna Laura Cantone
Chris Mazzotta
Isabella Paglia
Pia Valentinis
Arianna Vairo
Anna Castagnoli
Anna Curti

Guido Scarabottolo
Francesca Zoboli
Ilaria Bochicchio
Libero Gozzini
MiMaster (immagine di Emiliano Ponzi)
Sophie Fatus